Che libro strano! Al termine della
lettura non avevo ben capito se mi fosse piaciuto o meno, e ancora
oggi – a distanza di qualche giorno – non mi è ben chiaro.
Non si tratta di un romanzo, bensì
della cronaca autobiografica (almeno così è fatto intendere al
lettore) di un soggiorno dell'autore con moglie e figlio al seguito a
Hay-on-Wye, il celebre villaggio gallese dove la densità di librerie
è elevatissima. Collins vorrebbe stabilirvicisi in pianta stabile ma
la difficoltà di trovare una casa adeguata da acquistare lo indurrà
a tornare negli Stati Uniti. È
chiaro che la trama esigua costituisce un pretesto per parlare di
altro: Hay-on-Wye, i libri, gli scrittori, come appaiono la Gran
Bretagna e i suoi abitanti agli occhi di uno statunitense.
Ho apprezzato le descrizioni dei luoghi
(anche se forse a un europeo lo stupore che le pervade risulta
abbastanza ingenuo) e ancora di più le digressioni sui libri.
Collins a quanto pare è cultore e collezionista di libri insoliti o
introvabili dell'Ottocento e Novecento e cita di frequente divertenti
brani a proposito dei temi più disparati. Spunto interessante per
una ricerca bibliografica.
Ho trovato acute e sagaci alcune sue
riflessioni anche se mi pare di intuire che si tratti del “solito”
bibliofilo col paraocchi che esalta l'odore dei libri e la loro muffa
rossa ma non riesce a considerare della stessa utilità e valore un
ebook: un preconcetto che limita ancora molto scrittori, editori e
lettori ed è duro da superare. Questo dato di fatto mi suscita una
domanda, forse provocatoria: se i libri aiutano ad aprire la mente,
perché molti di coloro che li realizzano, li scrivono o ne sono dei
consumatori assidui hanno un atteggiamento così chiuso e ottuso nei
confronti delle nuove tecnologie e alle grandi possibilità che esse
offrono?
Tornando a Il paese dei libri,
ci sono due cose che mi hanno lasciata interdetta. La prima è la
brutta figura che in questo libro fanno gli statunitensi: Collins li
dipinge come zotici bigotti ricchi di denaro, beni e tecnologia, ma
un bagaglio culturale inesistente. Sono d'accordo che in parte può
essere così, ma mi pare che calchi un po' troppo la mano,
soprattutto visto che sta parlando dei suoi connazionali.
Infine la domanda che mi ha
“tormentato” durante tutta la lettura: Collins dice di essere uno
scrittore, ma via via che si legge Il paese dei libri si
scopre che la sua prima opera ancora non è stata pubblicata, è in
fase di editing. Sorvoliamo l'annosa e controversa questione riguardo
al diritto di definirsi scrittore, se e dopo quanti libri pubblicati,
ma a parte questo come fa a vivere e mantenere una famiglia senza
svolgere un altro lavoro? Ha ricevuto un anticipo così cospicuo?
Davvero negli Stati Uniti accade ancora? In caso affermativo Collins
non dovrebbe denigrare tanto gli USA dove il sogno di vivere facendo
solo lo scrittore (e non altri due o tre mestieri per
sopravvivere) è possibile. Se invece così non è, forse ho capito
finalmente l'essenza di Al paese dei libri: non si tratta di
un racconto autobiografico bensì di un romanzo distopico assai
ottimista.
Al paese dei libri di Paul Collins
(Adelphi)
Al paese dei libri di Paul Collins
(Adelphi)